Cotti in fragranza: insieme contro la criminalità


Non è una recensione ma vorrei condividere con voi un pensiero. Volevo raccontarvi l’esperienza di Cotti in Fragranza: 

Dal nome ironico e dall’ambiente caloroso, Cotti in Fragranza è un’attività a fine gastronomico, che si occupa di rieducare i detenuti dell’istituto penale minorile.  A farmi scoprire questa bellissima iniziativa è stata proprio Lucia Lauro, una delle persone che si occupa di questo.

La struttura ospitante è un istituto costruito nel 1600 ma ristrutturato fino ad oggi, grazie ai fondi della cooperativa e ai finanziatori, che si trova vicino la Cattedrale di Palermo. Inizialmente la direttrice di questa organizzazione, inoltre anche assistente sociale, ha presentato il luogo e ci ha permesso di conoscere un aspetto della storia. Non solo dal punto di vista dei detenuti ma anche degli immigrati, infatti quella struttura ospita le famiglie che attendono risposte da parte dello Stato.

 I rifugiati che scappano da situazioni disastrose e sono costretti a mettere in pausa la loro vita, perché in quello stato non possono continuare a fare nulla. 
Devono fermarsi e attendere risposte, che tardano sempre ad arrivare. Il loro è un stato che è paragonato a quello dei detenuti minorenni, anche loro costretti a mettere in stand-by la loro vita per anni, a seconda della gravità del crimine. 

Le realtà che affronta questa cooperative posseggono una sfaccettatura dolorosa e che la dottoressa Lauro ha presentato bene, non tralasciando un solo dettaglio. Realtà tragiche che cambiano radicalmente sia le persone che patiscono tale dolore che chi ne viene a conoscenza, cambia nel profondo e, soprattutto, ci rende più umani. 

Aiutare l’Altro in difficoltà è importante; ma non per la nostra coscienza e non per dimostrare che, in quanto economicamente stabili, possiamo farlo ma in quanto umani. Peter Singer afferma che se possiamo aiutare, dobbiamo farlo. Io credo che vogliamo farlo, no possiamo farlo o dobbiamo farlo. Quello che vogliamo è ciò che si lega al nostro desiderio di aiutare per davvero, senza aspettarci in cambio nulla. Non aiutare mossi dalla vena compassionevole, ma farlo perché in grado di empatizzate con l’Altro, attirati da quella sfaccettatura di vita che ci facciano rendere conto di non disprezzare ciò che abbiamo, essere soddisfatti della nostra condizione, proprio come affermava Orazio con il principio dell’aurea mediocritas. 

Spesso tendiamo a pregiudicare le persone e il focus che ha fatto la dottoressa è stato proprio questo: il pregiudizio. 
Ho avuto modo di studiare che il pregiudizio è un bisogno umano e, sostanzialmente, mentale che consiste nel bisogno di colmare il vuoto dell’informazione che può divenire vuoto mentale nel momento in cui lo si asseconda. Il pregiudizio, in quanto tale, significa prima del giudizio quindi non comporta, forse, una conoscenza dell’Altro dopo per poter formulare il giudizio? 
Ciò dipende se positivo o negativo, credo. In quanto un pregiudizio positivo ti spinge a voler confermare ciò in giudizio, mentre uno negativo ti spinge ad allontanare l’Altro.  

La dottoressa Lauro ha voluto focalizzarsi su questo, perché i ragazzi detenuti o gli immigrati sono soggetti al pregiudizio, perché chi lo formula si lascia influenzare a tal punto da creare una sorta di distanza di sicurezza da quell’individuo, spingendolo ad emarginarsi. Certo, il pregiudizio è scaturito dalla paura e pregiudicare è una capacità necessaria anche per prevenire qualcosa, ci aiuta per mantenere un’attenzione nei confronti della realtà circostante. Infatti averlo è necessario ma lasciarsi influenzare troppo è un fattore negativo, soprattutto se nei confronti di un individuo che sia un ex detenuto o un rifugiato.

Ciò che porta un detenuto ad agire negativamente contro la sua stessa società, non è sempre perché, per natura, è malvagio. L’uomo, mi permetto di affiancarmi alla concezione di Rousseau, è buono per natura e la società che comporta dei cambiamenti sotto questo aspetto. 

Nella maggior parte dei casi, questi detenuti minorenni sono dei minori posti in una condizione di disagio economico, sociale, esistenziale, cultura e familiare. 
Un minore posto in una condizione di disagio è influenzato dal contesto in cui vive e dall’educazione che riceve. 
Con il termine minore possiamo riferirci sia al fanciullo che all’adolescente o, comunque, in maniera prettamente generica all’individuo che non ha ancora raggiunto la sua maggiore età, che varia a seconda della propria nazionalità. Tuttavia, vorrei analizzare queste due fasi. 
Prendendo in considerazione il fanciullo, è chiaro che l’educazione ricevuta comporterà un’influenza decisa per tutto il corso della vita; l’educazione familiare è la prima che riceve, costituita non solo da nozioni generiche in grado di formare un fanciullo responsabile e posto in condizioni linguistiche e comportamentali per frequentare un’istituzione scolastica, ma anche precetti umani e prestando, quindi, attenzione a ciò che definiamo: sfera emotiva. 

Ad influenzare ciò, sarà certamente il rapporto genitoriale, soprattutto quello materno che, in base agli esperimenti studiati, possiamo affermare fondamentale nella vita del fanciullo, grazie al quale potrà non solo aiutare lo sviluppo dell’autostima ma anche i futuri rapporti con l’altro sesso, o comunque con i suoi coetanei. 
Un’eventuale mancanza di questo tipo di necessità porterà al fanciullo, una volta in grado di scindere in maniera un po’ ingenua il pericolo dalla normalità, quindi una volta iniziato a relazionarsi con altri, quasi inconsciamente inizierà a cercare questo bisogno e, molte volte, riescono a trovarlo proprio nella delinquenza. 
Tale condizione reca una stabilità economica e, in un certo senso, è il modo poi del ragazzo di deviare e provare quel brivido che comporta l’infrangere la legge. Questi soggetti sono quelli devianti, quelli che decidono involontariamente, quindi dettato solo da un bisogno quasi fisiologico, di unirsi a quella cerchia di persona che, per quanto un’influenza negativa, sono quelle che li aiutano emotivamente. 

Quasi sempre l’infrangere continuo delle legge comporta l’intervento degli agenti che, dopo la terza volta in cui i ragazzi sono fermati, si trasforma in anni di carcere in base alla gravità del crimine. 
I ragazzi da devianti divengono detenuti, tale passaggio comporta non solo un cambiamento fisico e l’abbandono della propria casa per recarsi in un luogo freddo e privo di affetto, ma è come se il detenuto si trovasse in un auto dinanzi ad un semaforo costantemente rosso per tutto il tempo della pena. Quindi è come se la sua vita andasse in stand-by, fisicamente crescono ma non maturano. Sono privati, forse si privano, di tutte quell’esperienze che rendono il passaggio dall’adolescenze all’età adulta graduale ma, soprattutto, che permettono che ciò avvenga. Invece, tale condizione non è posta nei minori che si trovano
 in condizione di disagio come quello dell’essere detenuti. 

Questi individui, per quanto possano aver commesso errori, sono umani e in quanto tali hanno bisogno costantemente di affetto. A contatto con questi individui dovremmo discostarci dal pregiudizio negativo e, anzi, metterci in condizione di superarlo ed essere in grado di attuare quel processo di empatia, che ci permette non di compatire l’Altro ma comprenderlo. 
Le stessa dottoressa Lauro ha fatto presente che i ragazzi, del carcere minorile Malaspina, hanno bisogno di una carezza.  

L’empatia è fondamentale e, forse per enfatizzare ciò, quando la dottoressa si è presentata ha detto il suo nome, cognome, anni, il suo lavoro e il suo orientamento sessuale. Le risposta è stata, in realtà, una l’abbattimento di quella parete dovuta al fatto di essere sconosciuti. Ci ha dato informazioni, così che potessimo discostarci dal pregiudico e calarci, mediante l’uso dell’empatia, nei suoi panni. 

L’attività di Cotti in Fragranza nasce nel 2015, tutto per trattare una tematica: il lavoro. La dottoressa e i suoi colleghi hanno iniziato a riflettere e si sono resi conto che, per i giovani, fosse difficile trovare lavoro soprattutto chi, invece, si trovava in una condizione sfavorevole, di disagio e quindi penalizzati. Allora il loro “noi”, la loro cooperativa, nasce proprio dall’idea di voler fornire i mezzi adeguati ai giovani per il loro futuro lavorativo.  Il loro obiettivo, sin dall’inizio, non è rivolto al business ma ai ragazzi detenuti.

Questi ragazzi vivono in una realtà precaria e soffrono per la realtà statica e il fatto che si ritrovino a dover fermare la loro vita per gli anni in cui scottano la pena, quindi l’idea di Cotti in fragranza, nome scelto ovviamente in maniera ironica, nasce proprio per permetterli di iniziare a lavorare, all’interno della loro staticità. 

Non vi è un capo, infatti si trovano tutti allo stesso livello, ognuno può esprimere le proprie idee e ognuno può lavorare, la creatività è sviluppata in maniera autonoma e ne permettono l’espressione e la loro realizzazione, ad esempio il cioccolato e i biscotti: buoni cuore. Tutte le ricette che si trovano: sono di loro invenzione o comunque tutte nuove, perché create da uno chef. 

Oggi solo 2-3 ragazzi lavorano ma le aspettative di questo progetto erano davvero basse, tanto che nessuno si aspettava che sarebbero arrivati alla fine del primo anno. La loro vittoria è stata arrivare a fine anno con un guadagno molto alto, che hanno poi rinvestito in quanto cooperativa. Un ragazzo, alla fine, ha affermato: “accattati u parra picca”, appunto riferendosi alle persone che non avevano creduto al progetto. A proposito di questo, hanno creato anche delle magliette per poter scrivere le frasi dei ragazzi, affiancati anche dal logo. 

Loro hanno inventato lo slogan: se non lo gusti, non lo puoi giudicare. Ciò che si collega a quello che la dottoressa Lauro affermava da un po’, ovvero: non lasciatevi influenzare dal pregiudizio. Si è collegata anche all’ansia, affermando che noi siamo la società dell’ansia. Certo, l’ansia è importante: è ciò che ci spinge, secondo la concezione freudiana, ad alzarci dal letto ma non dobbiamo farci controllare dall’ansia. 

Sono ragazzi come noi, adolescenti, che necessitano del valore genitoriale. Ci è stato anche spiegato che l’evasione non è assolutamente quella che vediamo dei film, l’evasione è andare a trovare la mamma nel giorno in cui si spetta e non tornare più: fuggire, perché il bisogno del calore materno. Loro non maturano in prigione, crescono fisicamente ma restano i ragazzi il giorno dell’arresto, in quanto privati dell’esperienza che ci permettono il passaggio al mondo adulto.  Lo stesso chef ha detto che “ li cura quando si fanno male”, questa espressione esprime l’idea di base di Cotti in Fragranza. 

La cooperativa è nata grazie a tre finanziatori privati tra cui associazione magistrati, San Zeno (legato alle calzature intimissimi) ed UniCredit. 
Con i fondi che hanno raccolto sono riusciti anche a ristrutturare la struttura dell’istituto di San Francesco e, inoltre, il giardino che hanno chiamato: Al Fresco. 
È stato ristrutturato sia da enti esterni che dai ragazzi, che hanno dato diverse idee, aperto al pubblico e adibito anche a ristorante, con ricette semplici e prezzi bassi. 

Per quanto riguarda l’aspetto economico, organizzano anche diversi servi catering che ambientano proprio nel giardino, presentando sempre prodotti freschi e di qualità ma con dei prezzi bassi. Appunto, questo processo è l’economia di scala, che si occupa di proporre prezzi bassi ma qualità alta dei prodotti.  Lo stipendio è retribuito al ragazzo in un assegno, così che possa sfruttarlo all’interno dell’istituto penale, in quanto vi sono dei supermercati e i ragazzi hanno bisogno di acquistare determinati prodotti di prima necessità, per evitare anche quel fenomeno del favore tra criminali che, spesso, sfocia in situazioni violente. 

Un elemento che ho apprezzato è stato il tema dell’ambiente, infatti loro utilizzano prodotti a km O, escludendo il cioccolato che proviene da Modica ma ragazzi come, ad esempio, Andrei (così l’ha presentato Lucia Lauro) hanno chiesto di poter vedere la produzione del cioccolato, così da produrlo loro e così è stato: hanno iniziato a produrre diversi tipologie di cioccolato, creando diverse combinazioni di gusto.  

La sostenibilità è anche presente, infatti in terrazza vi erano i pannelli solari e ho apprezzato particolarmente ciò, perché ad oggi è un tema fondamentale e fa capire che Cotti in Fragranza si preoccupa anche di questioni prettamente mondiali e necessarie alla vita umana, come l’inquinamento. 

È stata una giornata bellissima, gremita di emozioni e che mi ha lasciato tanta voglia di tornare per visitare e poter partecipare all’attività. Aiutare l’Altro è uno degli obiettivi che vorrei continuare a raggiungere, non per una questione legata al business ma perché mi interessa davvero, non voglio compatire l’Altro ma comprenderlo, in tutte le sue sfaccettature. 

Cotti in Fragranza merita di essere conosciuta e apprezzata per quella che è: una cooperativa genuina, capace di catturare il cuore e farti innamorare di una realtà che conosciamo superficialmente e ti permette di conoscerla in maniera approfondita, allontanandoti dai pregiudizi sociali o da quelli politici, dove non esiste: tu sei carcerato e io sono libera, ma dove esiste: tu hai un’idea, io ho un’idea, quindi creiamo qualcosa.  

Il legame che si crea è indissolubile, capace di catturare la nostra attenzione e riempirci il cuore di una gioia immensa. Un tipo di gioia che si prova quando si superano quelle barriere che sono le disuguaglianze sociali, quella gioia perché si realizza che abbiamo reso le nostre differenze: il nostro punto di forza. 


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